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Sarebbe stato difficile trovare un uomo che vivesse per il suo lavoro come Akakij Akakeievic. E' poco dire:
prestava servizio con zelo, -no, lui prestava servizio con amore. Lì, in quel copiare, vedeva un suo mondo
multiforme e attraente. Il piacere gli si esprimeva sul viso; alcune lettere erano le sue favorite, e quando
ci arrivava non stava più nella pelle: ridacchiava, e ammiccava, e si aiutava con le labbra, tanto che sul
suo viso sembrava di poter leggere ogni lettera che la sua penna tracciava.
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Akakij Akakeievic invece, se guardava qualcosa, vedeva ovunque le sue righe pulite, scritte con calligafia
regolare, e forse soltanto se un muso di cavallo, spuntato chissà da dove, gli si posava sulla spalla e dalle narici
gli soffiava una ventata sulla guancia, solo allora si accorgeva di non trovarsi dentro una riga,
ma piuttosto in mezzo alla strada. Tornato a casa, si sedeva subito a tavola, trangugiava in fretta la sua zuppa
di cavoli e mangiava un pezzo di manzo con le cipolle, senza neppure accorgersi del loro sapore:
mangiava tutto, comprese le mosche e tutto quel che Dio mandava in quel momento.
Accortosi che lo stomaco cominciava a gonfiarsi, si alzava da tavola e ricopiava le carte che si era portato
dall'ufficio. Se poi non ce n'erano, faceva una copia per sé, per proprio diletto...
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