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Viaggiando nel tempo e nello spazio, Borges scoprì l'infinito anche nella letteratura orientale,
a partire da quella araba delle Mille e una notte: un libro che va dipanando una serie infinita di atti impersonali compiuti da uno qualunque o da nessuno1' (II.791).
Egli ne ricorda la notte centrale, dove la regina Shahrazad (per una magica distrazione del copista)
si mette a raccontare testualmente la storia delle Mille e una notte, a rischio di tornare un'altra volta
alla notte in cui racconta, e così all'infinito (I.698). In quella notte il re ode dalla bocca della regina la
propria storia. Ode il principio della storia, che comprende tutte le altre, e anche - in modo mostruoso - se stessa.
Intuisce chiaramente il lettore la vasta possibilità di codesta interpolazione, il curioso pericolo che nasconde?
Che la regina persista e l'immobile re udrà per sempre la tronca storia delle Mille e una notte, ora infinita e
circolare (I.951)14.
Note
14 Nonostante Borges citi esplicitamente il numero di tale notte (la 602a ), noi non siamo riusciti a trovarla
nelle traduzioni che abbiamo consultate. A dire il vero neppure Calvino, che anzi sospetta che Borges se la sia
inventata, facendo bene a inventarla (vedi Livelli di realtà, a cura di Piattelli Palmarini, Feltrinelli, 1984, p. 441.)
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